mercoledì 27 luglio 2011

Nous reverrons à l'enfer




Nous reverrons à l'enfer

#07201129 27

«Gli innocenti continuano a morire
e vengono giudicati mefitici
da un falso tribunale etereo – quarto potere -
per via delle loro virtù eccelse di beatitudine».
;Estinzione, decadimento, declino;
Angeli dal sangue d’icore sopravissuti all’èrebo
strafatti nella notte tomba d’afflizione
alla disperata ricerca di un silenzio che riverberi nel nulla eterno
di straziante desolazione e d’armonia cieca al crepuscolo
di misera oppressa trapassata follia luttuosa;
Virtù violate dall’ignominia dei tuoi fondamentalismi caustici
educande in crisi deflorate consce di aver fottuto la loro umile castità con una croce,
madri taciturne che si masturbano all’alba con dovizia nei loro teneri letti sfatti
logorati dal piscio etilico e dalla disperazione;
Ricordi il giorno in cui morirai?
;Ossessione, pena, disintegrazione;
Nei giorni della tua santificazione
sarai deriso, umiliato, fustigato.
Gli innocenti continuano a morire.

to Amy Winehouse

L. Sperduti

martedì 25 gennaio 2011

Reinaldo Arenas



“La differenza fra il sistema comunista e quello capitalista, è che se ti danno un calcio in culo, sotto un sistema comunista devi applaudire, sotto il capitalismo puoi gridare: io sono venuto qui a gridare”. Parola di Reinaldo Arenas, uno dei più grandi scrittori cubani del Novecento, eppure poco conosciuto, soprattutto in Italia.

La storia di Arenas è la storia di un’isola, di una cultura, di migliaia e migliaia di anime in pena sospese tra dittature di segno opposto e un’irrefrenabile voglia di vivere. L’Italia, dicevamo, dello scrittore cubano sa pochissimo. E il perché è presto detto: Arenas incarnava alla perfezione tutto ciò che il sistema culturale di casa nostra non poteva accettare. Era troppo anticastrista per i maitre-à-penser di sinistra e troppo frocio per quelli di destra. Della sua vita, delle sue opere struggenti e oniriche, dunque, non si parla. Non da noi. Per capirne qualcosa in più, o anche solo per ascoltare questo nome per la prima volta, abbiamo dovuto aspettare l’immancabile biopic di Hollywood, “Prima che sia notte” (2000) di Julian Schnabel, tratto proprio dall’autobiografia di Arenas. Coppa Volpi a Venezia per Javier Bardem, recensioni osannanti dei critici. Ecco come si sdogana un personaggio scomodo nel Ventunesimo secolo. Peccato, però, che oltre alle liturgie da red carpet si è detto davvero poco dell’essenza di un’esperienza umana e letteraria unica, conclusasi nel 1990 nell’unico modo possibile: il suicidio.
Reinaldo Arenas era nato nella provincia cubana di Oriente, in una famiglia povera e un po’ sconclusionata. L’infanzia, giocoforza, diventa quindi un percorso a ostacoli tra le scoperte della vita. Il sesso, innanzitutto, che rivestirà un ruolo fondamentale nel suo percorso umano e letterario. E poi la miseria, violenta e inarrestabile, che lo costringe a mangiar terra, quella terra scura della provincia di Oriente che gli resterà appiccicata addosso per tutta la vita, fino a penetrare negli anfratti più reconditi di un’anima che ribolle di passione. Brucia le tappe, il giovane Arenas, e scopre ben presto di essere omosessuale, così come scopre una innata propensione alla ribellione, derivante anche dalla formazione liberale che riceve dal nonno materno, fiero oppositore del regime di Fulgencio Batista. Sesso omosessuale, miseria, politica: gli ingredienti sono questi e alla lunga costituiranno una miscela esplosiva e gravida di sensualità, sogni, fantasie, bruschi risvegli e disillusioni. È il dramma di vivere che diventa dimensione onirica, pur restando con i piedi saldamente piantati a terra. Doppio binario, per un talento che fa politica sporcandosi le mani e, ciononostante, si rifugia spesso e volentieri in arzigogoli surreali che costituiranno la cifra stilistica della sua opera letteraria.

Nel 1958, quando Fidel Castro e i suoi barbudos fanno alzare il livello dello scontro contro il regime, Reinaldo ha 15 anni e si butta a capofitto nella guerriglia. Poca roba, in realtà, perché lui non è uomo d’azione. Fa in tempo, però, a dar sfogo ad una ebrezza libertaria che sembrava poter avere cittadinanza nel castrismo delle origini, quello che ancora non si era trasformato in asfittica e dura dittatura socialista. Quella stessa ribellione sfociata contro Batista, si trasforma ben presto in ribellione anticastrista. Si tratta di una ribellione interiore, intima, eppure mai privata e nascosta. Un moto dell’animo che utilizzerà due valvole di sfogo, molto spesso confuse tra loro: il sesso e la letteratura. La ricerca del piacere sessuale sarà l’arma principale dell’Arenas dissidente, che nell’atto carnale della penetrazione vedeva la rottura delle ipocrisie del regime, l’infrazione delle regole asfittiche di una società che si avviava verso la morte civile, in cui i gay erano perseguitati, torturati e incarcerati. Anni di fuoco, sotto il sole dell’Avana. Ed è lo stesso Arenas a tracciare un bilancio dei suoi amanti, chissà se realistico o semplicemente gonfiato ad arte per rendere al meglio il sesso come strumento di lotta, oltre che di appagamento fisico e mentale: 5000 uomini lo hanno preso, anima e corpo, accontentando una fame insaziabile che, trasformando liberamente un vecchio slogan, potremmo definire di “pene e rose”.

Poi il carcere del Morro, fortezza coloniale a strapiombo sul mare dove muoiono migliaia di giovani cubani e, con loro, il sogno di libertà di quell’isola carnale e maledetta. Tra il sudiciume della sua cella, Arenas scoprirà la vera miseria, non quella materiale (che conosceva fin troppo bene) ma quella morale. Vedrà centinaia di anime spegnersi sotto i colpi del regime, assisterà a torture indicibili, lavaggi del cervello, abiure forzate e pentimenti indotti dei cosiddetti “controrivoluzionari” o “antisociali”.

Ma anche lì, in quell’inferno, Arenas godrà dei piccoli piaceri della vita: un tramonto viola, le onde che si infrangono con violenza sul malécon, gli odori e i colori di una città in rovina.

Decide di scappare da Cuba. Decide di recidere un cordone ombelicale che fino a quel momento era stato una sorta di nodo di Gordio dell’anima. Ci prova prima su una camera d’aria, avventurandosi senza successo nell’oceano. Poi tenta di raggiungere la base americana di Guantanamo, tuffandosi in un fiume infestato di caimani. Alla fine, per caso, riesce a lasciare legalmente il paese, nonostante il regime tenti fino all’ultimo di trattenerlo.

L’arrivo in America segna l’inizio dell’ultima, dolorosa e un po’ nostalgica fase della sua vita. Scopre di avere l’Aids e nota uno a uno tutti i vizi della società americana. I suoi libri, ora stampati legalmente, dopo gli esordi avventurosi e pirateschi di quando viveva a Cuba, hanno un successo mondiale. Ma qualcosa dentro di lui si è rotto. Il fisico è minato dalla terribile malattia appena arrivata a distruggere i sogni di una generazione. La mente è assopita, sedata, narcotizzata da farmaci e mal de vivre. L’America non è posto per lui. E Cuba non potrà esserlo mai più.

Ecco che decide di anticipare i tempi, di non attendere l’arrivo inevitabile della Nera Signora. Reinaldo Arenas si uccide nella sua casa di New York. Non prima, però, di aver concluso la sua autobiografia e di aver vergato a mano un biglietto per i suoi amici più cari. Poche righe che sono un testamento politico e letterario, che consegnano alla storia una delle esperienze artistiche e umane più carnali, libertarie e ribelli del Novecento: “Non vi arrendete, ma continuate a lottare. Cuba sarà libera, io lo sono già”.

(da Il Fatto Quotidiano di Domenico Naso).

mercoledì 8 dicembre 2010

Il mondo 30 anni dopo la morte di John Lennon

"Consideratemi fuori, voi che agitate libretti rossi, mi vedrete sulle barricate solo con un fiore...".




Molti di voi oggi staranno stupidamente festeggiando immagini procrastinate di sconvolgente falsità autoindotta.
Il vero e unico Dio muore oggi e ha continuato a morire lentamente negli ultimi 30 anni.

martedì 14 settembre 2010

ESCE LA PRIMA STESURA DI «SULLA STRADA», ROMANZO-MITO DELLA BEAT GENERATION

Per gentile concessione di Luigi Bernabò Associates— © 2007 John Sampas Literary representative of the estate of Stella Kerouac Sampas; John Lash, executor of the estate of Jan Kerouac; Nancy Bump; and Anthony M. Sampas — © 2010 Arnoldo Mondadori editore S.p.a., Milano
Tratto dal corriere della Sera.

On the road
Ecco la versione originale del capolavoro di Kerouac

DI JACK KEROUAC
Quando conobbi Neal mio padre era morto da poco... Ero appena guarito da una malattia grave della quale mi limiterò a dire che aveva certamente qualcosa a che fare con la morte di mio padre e la mia atroce sensazione che tutto fosse morto. Con l’arrivo di Neal cominciò davvero quella parte della mia vita che potremmo chiamare la mia vita sulla strada. Prima di allora avevo sempre sognato di andare nel West, vedere il Paese, ma erano sempre progetti vaghi e non ero mai partito. Neal è il compagno perfetto per la strada perché ci è nato sulla strada, mentre i suoi genitori erano di passaggio a Salt Lake City nel 1926, su un’auto scassata, in viaggio per Los Angeles.

Nel cuore del territorio del Pecos ci mettemmo a discutere su quali personaggi saremmo stati nel Vecchio West. «Neal, tu saresti certamente un fuorilegge» dissi «ma uno di quegli svitati e spassosi fuorilegge che attraversano le pianure al galoppo e si divertono a sparacchiare nei saloon». «Louanne sarebbe la bella della sala da ballo. Bill Burroughs abiterebbe in fondo alla città, un colonnello confederato a riposo, in una grande casa con tutte le imposte chiuse e uscirebbe solo una volta all’anno per incontrare il suo spacciatore in un Vicolo del Quartiere Cinese. Al Hinkle passerebbe le giornate a giocare a carte e raccontare storie seduto in poltrona. Hunkey vivrebbe con i cinesi; lo vedremmo passare sotto i lampioni senza degnarci di uno sguardo con una pipa d’oppio e la coda di cavallo». «E io?» dissi. «Tu saresti il figlio dell’editore del giornale locale. Ogni tanto perderesti la testa e andresti a divertirti con la banda degli altri pazzi. Allen Ginsberg---sarebbe un arrotino che affila le forbici e scende dalla montagna una volta all’anno con il suo carretto e predice gli incendi e la gente arrivata dal confine lo farebbe ballare a suon di schioppettate. Joan Adams... vivrebbe nella casa con le imposte, sarebbe l’unica vera signora in città ma nessuno la vedrebbe mai». Andammo avanti a lungo, passando in rassegna la nostra galleria di canaglie. Anni dopo Allen sarebbe sceso dalla montagna con la barba lunga e non avrebbe avuto più le forbici, solo canti di catastrofe; e Burroughs non sarebbe più uscito di casa una volta all’anno; e Louanne avrebbe sparato al vecchio Neal mentre usciva di casa barcollando; e Al Hinkle sarebbe sopravvissuto a tutti noi e avrebbe raccontato storie ai giovani di fronte al Silver Dollar. Hunkey sarebbe stato trovato morto un freddo inverno in un vicolo. Louanne avrebbe ereditato la sala da ballo e sarebbe diventata una signora e una dei cittadini più influenti. Io sarei scomparso nel Montana e nessuno avrebbe più sentito parlare di me. All’ultimo tirammo dentro anche Lucien Carr---sarebbe scomparso da Pecos City e tornato anni dopo scurito dal sole africano con una regina africana per moglie e dieci bambini neri e una fortuna in oro. Bill Burroughs sarebbe impazzito un giorno e avrebbe cominciato a sparare all’intera città dalla finestra; avrebbero dato fuoco alla sua vecchia casa e tutto sarebbe bruciato e Pecos City si sarebbe trasformata in una città fantasma di rovine carbonizzate tra le rocce arancioni. Ci guardammo intorno in cerca di un sito possibile. Il sole stava tramontando. Io mi addormentai sognando la leggenda.

Volevo fare l’amore con Edie per l’ultima volta ma lei non voleva saperne. Andammo in auto fino al Lago, da soli, lasciando Neal all’albergo le cui proprietarie puttane in pantaloni si erano rifiutate di lasciar entrare Edie per due chiacchiere e una birra («Che razza di posto pensate che sia!») e Edie le aveva mandate al diavolo. Al lago restammo seduti in auto come due innamorati qualsiasi. «E se tu e io ci provassimo per la prima volta o per l’ultima volta o come la vuoi chiamare ». «Non dire stupidaggini». Mi arrabbiai e saltai fuori dall’auto e chiusi di botto la portiera e andai a «rimuginare» vicino all’acqua. Aveva sempre funzionato un tempo, lei mi seguiva e mi rassicurava. Ma ora si limitò a fare marcia indietro e tornare a casa a dormire, lasciandomi con sette miglia di Detroit notturna da fare a piedi perché non passavano autobus nei paraggi. Camminai per quattro miglia fino alla prima fermata del tram. Era come le passeggiate che facevo nel buio di Alameda boulevard a Denver quando battevo la testa sull’asfalto che scintillava al chiaro di luna. Era finita, Neal diceva che tanto valeva partire per NY. Io volevo fare un ultimo tentativo. Andammo da Edie l’indomani pomeriggio e passammo altre cinque ore a bighellonare con i ragazzi e divorare le provviste nel frigorifero mentre sua madre era al lavoro. Poi Edie ci disse di andare ad aspettare nel bar di Mack Ave. Quello con il barista ficcanaso, dove ci avrebbe raggiunto più tardi. Appena girato l’angolo mi voltai e la vidi salutare un uomo alla guida di un’auto sulla strada e uscire dalla porta di casa per salire a bordo. L’auto fece marcia indietro per non venire nella nostra direzione e se ne andò. Dissi «Cosa diavolo succede? Era proprio Edie quella? Non doveva raggiungerci al bar?». Neal rimase in silenzio. Aspettammo per un’ora e poi lui mi abbracciò e disse «Jack lo so che non ci vuoi credere ma perché non apri gli occhi? Non capisci che ha un ragazzo, un fidanzato a Detroit, è appena venuto a prenderla. Se vuoi aspettarla qui la aspetterai per tutta la notte». «Ma non è da lei!». «Le donne non impari a capirle nemmeno dopo un milione di anni. È proprio come Louanne, amico, sono tutte puttane---e tu sai che uso il termine puttana in un senso completamente diverso da quello originario. Ti cancellano dalla mente e poi se ne fregano di te come se fossi una vecchia pelliccia da cambiare. Le donne sono molto più brave degli uomini a dimenticare. Ti ha dimenticato, amico. Ma tu non ci credi». «Non posso crederci». «L’hai vista coi tuoi occhi no?». «Temo di sì». «Se l’è svignata insieme a lui. E che stronza, neppure il minimo accenno a quello che aveva in mente. Oh amico, io le conosco queste donne, l’ho guardata bene in questi due giorni e io le conosco, le conosco». L’estate era finita. Eravamo fermi sul marciapiede davanti al bar---e cosa diavolo ci facevamo a Detroit?---e cominciava a fare freddo. Era il primo crepuscolo freddo dalla primavera. Ci stringevamo dentro le nostre magliette. «Ah amico lo so come ti senti. Ed è una costante della nostra vita---io ho chiuso con Carolyn, ho chiuso da un pezzo con Louanne, e ora tu hai chiuso con Edie. Andremo a NY e ricominceremo da capo. Ho amato Louanne con ogni fibra delle mie ossa, amico, e in cambio ho ricevuto lo stesso tuo trattamento». Ciononostante tornai a piedi a casa di Edie per vedere se c’era. La madre era in casa adesso, la vidi attraverso la finestra della cucina. Un’epoca della mia vita si era definitivamente conclusa. Ero d’accordo con Neal. «La gente cambia, amico, è questo che devi capire». «Spero che tu e io non cambieremo mai». «Lo sappiamo, lo sappiamo ». Prendemmo un tram fino al centro di Detroit, e all’improvviso mi tornò in mente che Louis Ferdinand Celine una volta aveva preso lo stesso tram con il suo amico Robinson, chiunque fosse Robinson se non probabilmente Celine stesso; e Neal era come me, perché la notte prima avevo sognato Neal in albergo, e Neal era me. In ogni caso era mio fratello e restammo insieme.